Il traguardo dell’egemonia nell’IT è stato raggiunto

I dati del Flexera 2022 State of the Cloud Report: continua la corsa delle aziende a spostare workload applicativi e dati in cloud anche sensibili e tragli operatori globali Azure supera di poco AWS.

Ormai il cloud è il nuovo ‘standard’ dell’ICT, mentre l’onpremise anche se rimane ben presente è destinato a essere mantenuto, anche a lungo, in alcuni ambiti di nicchia e quindi nel tempo a ridurre la sua importanza a vantaggio del nuovo modello di piattaforma. Si può quindi dire che ormai il traguardo dell’egemonia è stato raggiunto.

Il messaggio che arriva dalla undicesima edizione del Flexera 2022 State of the Cloud Report è quindi chiaro, e anche se questa affermazione deve essere ‘pesata’ e valutata tenendo presente l’atipicità del campione sul quale ogni anno viene realizzata la ricerca (quest’anno gli intervistati sono 753, di cui 140 europei), che comunque in questa edizione si dimostra più articolato, e quindi migliore, che in passato (vedi box a pagina 81), i dati che emergono descrivono comunque dei trend che si svilupperanno nei prossimi tempi e che porteranno nei prossimi tre/quattro anni a uno scenario quasi totalmente cloud.

Alla luce di questo, diventa oggi poco interessante approfondire nel dettaglio lo stato di adozione del cloud nelle imprese, quanto è diffuso il multicloud o in che modo si realizza l’hybrid cloud. L’edizione di quest’anno della ricerca Flexera certifica ormai che tutte le imprese del campione sono in cloud, e la maggioranza di queste lo usa da tempo e vi sta trasferendo quote di workload sempre più consistenti (il 63% del campione di quest’anno dichiara di usare ‘pesantemente’ il cloud); che l’89% del campione lavora in una logica multicloud, e poco conta sapere quanti di questi servizi mediamente vengono attivati dalle imprese; e, infine, che l’hybrid cloud si sviluppa attraverso l’adozione di più cloud pubblici e più cloud privati nel 48% dei casi; più cloud pubblici e un cloud privato nel 31%; un cloud pubblico e più cloud privati nel 12% e un cloud pubblico e un cloud privato nel 9%. Questi sono dati ormai consolidati da tempo, ed è poco interessante marcare le differenze di qualche punto percentuale rispetto agli anni precedenti. Al fine, invece, di fornire una più approfondita lettura di questo Report che possa fornire degli spunti o delle ispirazioni ai nostri lettori, bisogna andare oltre.

Come è organizzato il multicloud

Quando si dice multicloud non significa automaticamente che le applicazioni vengono ‘estese’ su più cloud, anzi si rischia invece di ripetere gli errori del passato.

Alla domanda come sono organizzate le applicazioni e i dati nel vostro ambiente multicloud il campione, che poteva dare risposte multiple, ha fatto emergere una realtà nella quale riappare la logica a silos, che probabilmente è stata scelta con lo scopo di garantire una maggiore sicurezza, ma che in realtà in molti pensavano che in teoria il cloud doveva superare.

Ed è così che infatti un sostanziale 45% ha risposto a questa prima domanda affermando che nel loro multicloud diverse applicazioni sono state posizionate in ‘silos’ su cloud differenti.

Una logica di ‘condivisione’ arriva invece dalle risposte successive, dove: il 44% del campione ha dichiarato che utilizza processi di disaster recovery dei dati che intervengono su più cloud, dato che rispetto all’anno scorso cresce di ben 10 punti; il 41% implementa soluzioni di data integration tra più cloud; il 36% trasferisce in modo consistente workload tra diversi cloud; il 32% ‘estende’ singole applicazioni su più cloud; mentre il 25% utilizza soluzioni di ‘posizionamento’ intelligente dei workload (a questa domanda erano consentite risposte multiple).

Alla domanda che tipi di strumenti multicloud vengono utilizzati, il campione, che poteva scegliere più di un’opzione, ha così riposto: tool di sicurezza al 32%; tool per la gestione dei costi al 31%; tool di governance 25% e tool di gestione al 25%.

Sempre più public cloud

Se lo scenario generale è il cloud ibrido, è però vero che sempre più dati e workload vengono oggi trasferiti nei public cloud. La fotografia tracciata in questo Flexera 2022 State of the Cloud Report parla a livello generale del fatto che orma il il 50% dei workload applicativi e il 48% dei dati delle aziende del campione risiedono in public cloud; che nei prossimi 12 mesi si sposteranno in questi un altro 6% dei workload applicativi e un 7% dei dati, mentre il restante 44% dei workload e il 45% dei dati rimarrà onpremise.

In questo senso è interessante vedere il comportamento delle ‘piccole e medie aziende’ del campione, che non è detto coincidano nelle loro caratteristiche strutturali alle PMI italiane: l’adozione verso il public cloud è più veloce del campione generale e quindi anche delle enterprise. Infatti, in questo sottocampione i workload applicativi in public cloud sono il 57% del totale e per quanto riguarda i dati, questi ammontano al 56%. Nei prossimi 12 mesi andranno in public cloud una quota aggiuntiva del 6% sia dei workload che dei dati, mentre rimangono onpremise il 37% dei workload e il 38% dei dati.

Le tipologie di dati che vanno in cloud

La ricerca distingue cinque tipologie di archiviazione dei dati: esclusivamente onpremise; per lo più on premise; un mix tra onpremise e servizi cloud/SaaS; per lo più in cloud/SaaS; esclusivamente in cloud/SaaS. Vediamo come il campione ha risposto rispetto alle diverse tipologie di dati.

Dati dei cosumatori. Esclusivamente onpremise: 15%; per lo più onpremise: 23%; mix onpremise e cloud/SaaS: 31%; per lo più in cloud/Saas: 15%; esclusivamente in cloud: 13%.

Dati corporate. Esclusivamente onpremise: 19%; per lo più onpremise: 25%; mix onpremise e cloud/SaaS: 26%; per lo più in cloud/Saas: 15%; esclusivamente in cloud: 11%.

Dati degli ordini e delle vendite. Esclusivamente onpremise: 7%; per lo più onpremise: 17%; mix onpremise e cloud/SaaS: 29%; per lo più in cloud/Saas: 24%; esclusivamente in cloud: 19%.

Dati IoT. Esclusivamente onpremise: 7%; per lo più onpremise: 11%; mix onpremise e cloud/SaaS: 25%; per lo più in cloud/Saas: 22%; esclusivamente in cloud: 21%.

Dati non sensibili per analisi. Esclusivamente onpremise: 5%; per lo più onpremise: 10%; mix onpremise e cloud/SaaS: 22%; per lo più in cloud/Saas: 25%; esclusivamente in cloud: 34%.

Altri dati non sensibili. Esclusivamente onpremise: 3%; per lo più onpremise: 10%; mix onpremise e cloud/SaaS: 24%; per lo più in cloud/Saas: 24%; esclusivamente in cloud: 31%.

Naturalmente era ovvio aspettarsi che meno i dati risultano sensibili e più sono stati spostati massicciamente nel cloud. Ma non ci possiamo fermare a questa prima interpretazione.

I dati degli ordini e delle vendite che sono esclusivamente, o per lo più, in cloud/Saas sono complessivamente il 43%. Un livello più alto degli stessi dati che rimangono esclusivamente o per lo più onpremise, ossia il 24%. Tenendo presente che la categoria di mezzo presume un livello di utilizzo del cloud comunque sostanziale, possiamo dire che anche dati di una certa rilevanza strategica come quelli delle vendite e degli ordini, sono comunque ormai per la maggior parte in cloud. Se ipotizziamo che il 29% della categoria di mezzo venisse diviso assegnando, del tutto arbitrariamente e con un criterio conservativo, un 40% (e quindi 12% su 29%) al cloud e un 60% all’onpremise (17% su 29%)… Ci troveremmo con la maggioranza dei dati degli ordini e delle vendite in cloud con una quota del 55%.

Assegnando lo stesso criterio, come detto del tutto arbitrario e conservativo, alle altre due tipologie di dati, ci troveremmo con i dati corporate al 59% onpremise e al 41% in cloud; e i dati dei clienti al 57% onpremise e al 43% in cloud. Insomma, il sorpasso del cloud sull’onpremise, anche in queste due categorie di dati più strategici, non è magari all’ordine del giorno, anche per il peso del criterio conservativo adottato, ma non appare poi così lontano…

Gli analisti di Flexera comunque commentano che gli utilizzatori di cloud hanno preso confidenza nell’utilizzo degli strumenti di sicurezza per questi ambienti e dichiarano: “Oggi le aziende si sentono più sicure a spostare anche i dati sensibili in cloud”.

Le priorità portate dal cloud e le sfide aperte

Il cloud sta giocando un ruolo sempre più da protagonista negli ambienti IT aziendali. Quali sono quindi le priorità che emergono dalle aziende intervistate.

Anche in questo caso erano possibili risposte multiple e come prima priorità relativa al cloud emerge l’ottimizzazione dei costi esistenti di utilizzo del cloud al 59% (68% aziende europee). Il tema del risparmio dei costi del cloud si conferma, rispetto agli anni scorsi, sempre attuale.

Seguono: al 57% (68% aziende europee) la migrazione di nuovi workload verso il cloud; al 42% (44% aziende europee) la migrazioni da software onpremise a soluzioni SaaS; al 40% (47% aziende europee) progredire verso un approccio strategico ‘cloud first’; al 38% (37% aziende europee) disporre di migliori report finanziari sui costi del cloud; al 36% (37% aziende europee) policy di governance del cloud automatizzate; al 35% (41% aziende europee) espandere l’utilizzo dei container; al 33% (37% aziende europee) gestire le licenze software in cloud insieme all’espansione dell’utilizzo dei public cloud già in utilizzo (31% aziende europee).

Per quanto riguarda invece le sfide che l’arrivo del cloud ha aperto negli ambienti IT aziendali (anche qui erano possibili risposte multiple) si conferma al primo posto la sicurezza con una quota dell’85% (81% anno scorso); seguita dalla mancanza di risorse e competenze all’83% (75%); dalla gestione della spesa cloud, 81% (79%); dalla governance 77% (76%); dalla gestione delle licenze in cloud 76% (73%); dalla compliance 76% (75%); dalla creazione di un cloud team centralizzato 73% (70%); dalla migrazione al cloud 73% (71%) e infine dalla gestione degli ambienti multicloud 71% (72%).

Non c’è da meravigliarsi che molte delle priorità e molte delle sfide coincidano, soprattutto quelle legate ai temi finanziari di gestione dei costi.

Anche quest’anno molte organizzazioni vedono la crescita della loro spesa cloud come in forte accelerazione e hanno paura che questa vada fuori controllo. Fatta 100 la spesa cloud prevista a inizio 2021, a consuntivo questa spesa nel corso dei 12 mesi è andata mediamente fuori budget del 13%. Riportato a 100 questo valore a inizio 2022, la previsione fatta dal campione è che a fine anno mediamente si registrerà una spesa extra budget di ben il 29%. Inoltre, tutto il campione stima che mediamente la propria spesa cloud sia inefficiente al 32%; l’anno scorso questa quota era al 30% e l’anno prima al 25%.

Una domanda di ottimizzazione dei costi che rimane inevasa

Stando così le cose possiamo però smettere di meravigliarci del fatto che gli strumenti offerti dal mercato – siano i programmi a sconto dei principali cloud provider globali (AWS, Azure e GoogleCloud) oppure i tool di automazione di mercato che intervengono con alcune funzionalità dedicate proprio per ridurre i costi del cloud – risultano non solo ancora poco utilizzati, ma tutti i loro valori registrano un arretramento sostanziale.

La cosa può dipendere dal fatto che nel campione di quest’anno sono arrivate molte aziende da geografie diverse dagli USA che non erano presenti nei rilevamenti degli scorsi anni. Magari queste aziende non conoscono ancora tutte le offerte disponibili… Oppure le aziende rispondenti in generale hanno maturato l’idea che l’offerta attuale di soluzioni volte a controllare i costi del cloud risulta inadeguata per diversi ordini di motivi. Questi dati, in ogni caso, ci dicono che oggi sicuramente c’è spazio per un’offerta di soluzioni che aiutino a tenere sotto controllo in maniera efficace i costi del cloud semplici da utilizzare e facilmente attivabili. Chi si metterà in gioco su questo fronte, sicuramente potrà registrare dei più che buoni successi. Il mercato rimane in attesa.

Utilizzo dei cloud pubblici

Nel posizionamento dei principali operatori globali, il ricorso sempre più massiccio al public cloud ha portato a una piccola rivoluzione. Dal Report 2022 di Flexera, secondo il campione intervistato, infatti il primo operatore del public cloud è ora Azure, utilizzato dal 95% degli intervistati, mentre AWS risulta seconda al 93% (la logica del multicloud si riscontra nella possibilità di scegliere risposte multiple data agli intervistati). Il sorpasso, se pure di poco da questi dati sembra dunque esserci stato; l’anno scorso AWS era al 91% e Azure al 90%. Piccolezze, dettagli, ma comunque questo piccolo cambio di leadership, se verrà confermato nei prossimi mesi anche da altre fonti, è in ogni caso significativo.

Nella classifica generale seguono poi GoogleCloud 80% (79%, l’anno precedente); Oracle Cloud Infrastructure 56% (53%); IBM Cloud 50% (50%) e Alibaba Cloud 35% (33%).

Gli scostamenti si noterà sono minimi, non solo al vertice della classifica, ed è quindi ormai lecito affermare che il mercato del public cloud a livello globale si è ormai consolidato su questi sei operatori. Nonostante una domanda ancora in crescita per diversi anni i giochi sembrano comunque fatti, tutti i protagonisti cercheranno di far evolvere le loro offerte verso il modello più competitivo possibile, ma tutto ciò cambierà forse di qualche punto percentuale in più o in meno, non certo l’assetto attuale del mercato.

Forti cambiamenti potranno registrarsi in un futuro lontano, che oggi non si vede, ossia quando il mercato cloud si stabilizzerà e allora il peso della concorrenza dei prezzi di accentuerà di più e porterà a nuovi scenari, caratterizzati magari anche da qualche acquisizione.

Ma un mondo che diventa sempre più digitale avrà sempre la componente cloud a suo supporto e quindi più si svilupperà la creatività del digitale più crescerà il cloud, aprendo sempre nuovi spazi anche per operatori specializzati e/o locali che già oggi esistono e lavorano con successo senza farsi impressionare dalle quote di mercato degli operatori globali.

Il campione della ricerca

Il campione dell’undicesima edizione del Flexera 2022 State of the Cloud Report ha aumentato la sua segmentazione, e anche se rimangono delle forti criticità, risulta migliorato sul fronte della dimensione delle aziende dei rispondenti e sulla distribuzione geografica. Permangono invece tutte le nostre perplessità sul fatto che dal punto di vista dei settori verticali risultano assenti o comunque poco rappresentanti entità come le pubbliche amministrazioni, le aziende manifatturiere e quelle dell’energia. Perciò come gli altri anni, la raccomandazione è leggere i dati della ricerca riportati nel nostro articolo principale con un certo ‘spirito critico’, nella consapevolezza comunque che il report descrive dei trend di sviluppo del cloud ‘realistici’ e che difficilmente potranno essere messi in discussione nei prossimi anni. Ma vediamo la descrizione del campione.

A fronte di 753 intervistati, di questi ben 140 (il 18,6%) arriva da aziende europee. Lo sforzo è apprezzabile, e sicuramente però rimangono ampi margini di miglioramento quando si legge che di questi 140 intervistati, ben il 41% arriva dalla Gran Bretagna, il 14% dalla Francia e il 12% dalla Germania, il 6% dall’Olanda, il 4% dalla Svizzera e il 3% della Svezia; tutte le altre decine di Paesi europei, Italia compresa, è racchiusa nella categoria ‘altri’ che pesa per il 21% di questo sottocampione. Insomma, se si fosse usato un criterio banalmente economico relativo al peso del PIL generato da ogni singolo Paese la distribuzione del campione sarebbe dovuta essere ben altra… A livello generale, gli USA detengono ancora la maggioranza del campione con il 64% dei 753 intervistati; e anche qui non mancano cose paradossali come il Messico che pesa come la Cina all’1%, e con la Germania al 2% che pesa meno di Canada e Australia entrambe al 3%. Detto questo però bisogna anche riconoscere che i dati emersi dall’analisi del sottocampione europeo si discostano di poco da quelli del campione generale, siamo in perfetta scia e seguiamo gli stessi trend (qualcuno potrebbe anche malignare che è stato fatto apposta per dare questa percezione…). Forse un campione europeo fatto radicalmente in modo diverso, con i giusti pesi dati ai Paesi e ai settori verticali, potrebbe raccontare una storia diversa, ma oggi non è dato sapere.

Rispetto alle edizioni precedenti il campione risulta invece molto meglio articolato per quanto riguarda la dimensione aziendale, quindi: il 31% è rappresentato da aziende con oltre 10.001 dipendenti; il 15% da quelle da 5.001 a 10.000 dipendenti; il 21% da 2.001 a 5.000; il 12% da 1.001 a 2.000; il 14% da 101 a 1.000 e il 7% da 1 a 100 dipendenti. Anche in questo caso si poteva fare meglio, ma certamente questa maggiore articolazione dà un po’ di visibilità in più anche a quello che succede nelle aziende medio piccole, che nella realtà italiana, sappiamo tutti, sono preponderanti.

Come detto la distribuzione per settori verticali è secondo noi fortemente criticabile per delle lampanti mancanze e/o sottovalutazioni. Il sottocampione europeo risulta diversamente articolato, perciò nella descrizione che segue oltre al dato generale, riportiamo tra parentesi il peso nel sottocampione europeo. Ecco, quindi, le due distribuzioni per settori verticali: 22% aziende di servizi tecnologici (18% sottocampione europeo); 20% servizi finanziari (26%); 17% software e hardware (8%); 10% sanità (4%); 5% retail ed e-commerce (7%); 5% prodotti di consumo (6%); 4% educazione e PA centrale (2%); 4% trasporti e logistica (9%); 4% prodotti industriali (7%); 3% servizi di business (3%); 3% telecomunicazioni (5%); 3% altri settori (5%).

Infine la distribuzione per livello di management in azienda del campione generale: executive 19%; direttori/manager 38%; cloud architect 30%; responsabili sviluppo 7%; altro 6%.



Ruggero Vota

Con una solida formazione informatica e dopo un’esperienza triennale in software house, nel 1986 inizia l’attività giornalistica su riviste del settore ICT, mensili e settimanali. Dal 2012 è Caporedattore delle riviste ICT di Soi...

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