Cloudera: la sfida sulla conformità e il controllo dei dati rimane aperta

Il 79% degli intervistati, di una ricerca promossa dalla società, afferma che l’integrazione di soluzioni puntuali per l’analisi e la gestione dei dati ha causato un significativo aumento dei costi.

Riunire tutte le strutture dati in un unico ambiente indipendente svincolato dalle infrastrutture IT utilizzate dall’azienda, siano esse cloud anche pubblici oppure onpremise di proprietà, per superare i silos e avere al contempo a disposizione la possibilità di generare insight correlando le informazioni dei diversi sistemi transazionali anche con fonti esterne. È questa da sempre la missione di Cloudera che Fabio Pascali, regional vice president Italy della società, vede più che mai come una necessità impellente per l’oggi e per i prossimi tempi anche per le imprese italiane: “In questi anni siamo cresciuti molto e insieme ai nostri mercati tradizionali telco, energy e finance, abbiamo visto un forte aumento di interesse della Pubblica Amministrazione centrale, che ormai rappresenta uno dei quattro pilastri fondamentali del nostro business”.

A questo si aggiunge il fatto che con il rilascio l’anno scorso della soluzione CDP One che ha portato il modello di gestione dati di Cloudera verso le medie imprese, negli ultimi dodici mesi sono arrivati anche diversi clienti dai settori: farma, manifatturiero e Pubblica Amministrazione locale. “A premiare la nostra impostazione è l’indipendenza dallo strato infrastrutturale e la capacità di muoversi con estrema facilità dai diversi cloud all’onpremise, il tutto senza perdere il controllo della coerenza sui dati aziendali. Se nella PA veniamo apprezzati perché consentiamo la realizzazione di bandi svincolati dalle infrastrutture, e garantiamo così anche il pieno supporto quando necessario sul tema della sovranità dei dati, negli altri segmenti il nostro plus è la flessibilità di movimento che consente di tenere meglio sottocontrollo i costi dei diversi operatori cloud”.

La ricerca Cloudera

Fabio Pascali, regional vice president Italy della società

Per meglio comprendere però i trend relativi a dati e cloud ibridi, Cloudera, con il supporto di Coleman Parkers Research ha condotto una ricerca a livello EMEA tra 850 responsabili delle decisioni IT (d’ora in poi anche ITDM, ndr) appartenenti ad imprese con oltre 1.000 dipendenti nei settori: servizi finanziari, servizi bancari, servizi assicurativi, produzione industriale, telecomunicazioni, retail e e-commerce, sanità e scienze della vita, settore pubblico, produttori di tecnologia e software, energy e utility. Nel campione fanno parte anche 100 manager italiani.

A livello generale, il dato che emerge come molto significativo è che il 79% degli ITDM ha affermato che l’integrazione di soluzioni puntuali per l’analisi e la gestione dei dati ha causato un significativo aumento dei costi.

Cloud ancora prioritario, ma alcuni workload tornano onpremise

Più di due terzi (68%) delle organizzazioni globali attualmente archivia i dati sia in ambienti cloud on-premise/privati che in ambienti cloud pubblici. Questa percentuale sale ulteriormente per le aziende del settore energetico, dell’oil&gas e dei servizi pubblici (75%) e per i produttori di tecnologia e software (79%).

Tuttavia, il cloud non è la soluzione a tutto: tre quarti delle organizzazioni (76%) prevedono di ripatriare una parte dei dati dal cloud nei prossimi tre anni. Le motivazioni di questa decisione sono comuni a tutti i settori e legate a timori di compliance, cloud lock-in, cybersecurity e incapacità di elaborare di grandi volumi di dati.

A essere più preoccupate per la natura e la compliance dei dati sono, senza sorpresa, le organizzazioni pubbliche (62% rispetto a una media del 55%), seguite dalle imprese dell’energy e utility (60%). Settore bancario e sanitario, invece, sono quelli che hanno rivelato maggiori preoccupazioni per il cloud lock-in, indicato rispettivamente dal 62% e dal 61% delle imprese come ragione per non migrare altri dati in cloud contro una media del 54%, sottolineando dunque la necessità per questi settori di avere maggiore flessibilità e opportunità di scelta. I problemi di cybersecurity legati alla non conformità sono invece quelli che preoccupano maggiormente le aziende del manifatturiero (59%) e dell’assicurativo (62%) – le più colpite dagli hacker negli ultimi anni – contro una media del 52%. Timori di prestazioni nell’elaborazione di grandi insiemi di dati in tempo reale riguardano invece il 60% dei produttori di tecnologia e software.

In linea generale, i problemi di conformità sono spesso più accentuati nell’area EMEA che negli Stati Uniti, dove ha sede la maggior parte dei principali fornitori di cloud.

Le priorità dei diversi settori

Le organizzazioni hanno accesso a una varietà di fonti di dati più ampia che mai ma, quando questi dati si trovano in un ambiente distribuito, può essere difficile estrarre valore e informazioni. Più di due terzi (69%) delle organizzazioni si dichiarano preoccupate per la dispersione degli strumenti di data analytics, preoccupazione che sale al 77% nelle aziende di telecomunicazioni e al 76% nel settore pubblico e governativo.

Tuttavia, le imprese non possono più prescindere dall’utilizzare efficientemente gli insight derivanti dai dati a propria disposizione:

– Per il banking&finance, il principale driver di business che conduce all’utilizzo di strumenti di analytics è l’aumento dei ricavi, indicato nel 46% dei casi contro una media del 33%, mentre sembra destare meno preoccupazione l’ottimizzazione dei servizi al cliente (28%).

Il settore assicurativo mira ad utilizzare gli analytics per aumentare la produttività (49%) ma è anche il primo settore a voler sfruttare gli insight dai dati per assicurare conformità agli obiettivi di sostenibilità e alle norme in vigore (46% contro una media del 35%).

– L’incremento della produttività è la priorità anche per il settore delle telecomunicazioni, per il manufatturiero, la sanità, e l’energy&utility.

– Per quasi un’impresa su due del retail ed e-commerce (47%), gli analytics sono fondamentali per ottimizzare la customer experience, ben al di sopra della media del 36%.

– Per quanto riguarda il settore pubblico, invece, la preoccupazione principale per la quale si chiede l’intervento degli analytics è la riduzione dei costi, indicata da quasi 1 intervistato su 2.

Nonostante questi obiettivi di business molto chiari, quasi tre quarti (72%) degli intervistati afferma che la presenza di dati in silos cloud e on-premise rende difficile l’estrazione di valore dai dati in loro possesso per poter attuare concretamente delle strategie. La percentuale è ancora più alta nel settore assicurativo (77%) e pubblico (82%), che risente più di tutti gli altri della difficoltà a prendere decisioni in tempo reale e dell’aumento dei costi.

La ‘tassa sull’integrazione’ fa aumentare i costi

Sebbene l’integrazione di soluzioni puntuali possa rendere più efficaci i processi specifici relativi ai dati e favorire una risoluzione più tempestiva delle complessità, generando l’illusione di un time to value più rapido, spesso si verifica un aumento il costo della gestione dei dati. Considerando il costo iniziale degli strumenti di on-boarding e quello tecnico della loro integrazione e la necessità di formazione specialistica per il personale al fine di utilizzarli per lunghi periodi, molte organizzazioni stanno in effetti pagando una “tassa sull’integrazione dei dati”.

Più di tre quarti (79%) degli ITDM ritiene che l’integrazione di soluzioni puntuali per l’analisi e la gestione dei dati abbia fatto aumentare il loro costo. Quasi tutti (99%) concordano sul fatto che l’integrazione delle diverse soluzioni puntuali necessarie per la gestione dei dati lungo il loro ciclo di vita rappresenti una sfida, e un terzo (34%) la ritiene una “sfida significativa”. Questo porta le organizzazioni a spendere più di un quarto (28%) del loro budget IT annuale per questa attività.

I dati italiani

Secondo la ricerca Cloudera, le imprese italiane sono in una fase di maturità avanzata per quanto riguarda la gestione dei dati, superiore rispetto alla media EMEA. Solo le fasi di analisi e pubblicazione presentano ancora margini di miglioramento rispetto agli altri Paesi.

Tuttavia, le sfide emerse in EMEA sono molto sentite anche in Italia, con oltre 1 azienda su 3 che spende tra il 20% e il 30% del proprio budget annuale per la gestione dei dati, e addirittura 1 su 5 che spende tra il 30% e il 40%, e 1 azienda su 6 che ne spende fino al 50%.

Sebbene l’adozione di soluzioni puntuali per l’analisi e la gestione dei dati crei delle difficoltà nel garantirne la conformità, le aziende italiane percepiscono meno complessità rispetto agli altri Paesi analizzati, con solo il 64% che evidenzia la sfida della compliance a fronte di una media EMEA del 79%. Di conseguenza, anche i costi di gestione e analisi dei dati sembrano aver avuto un impatto minore nelle imprese italiane rispetto alla media EMEA, con il 68% delle aziende che evidenziano un aumento dei costi a fronte di una media del 78% per l’intera area, una percentuale che rimane comunque significativa. Ad ogni modo, anche le imprese italiane sono preoccupate per la compliance nella gestione dei dati (76%) e per la possibilità che questi ultimi possano essere fuori controllo (65%).

I silos di dati sono l’ostacolo principale nell’assicurare la conformità alle normative di compliance per il 59% delle organizzazioni. Infine, il 99% degli intervistati concorda sul fatto che l’integrazione di differenti soluzioni puntuali per la gestione dei dati lungo tutto il loro ciclo di vita rappresenti una grande sfida.


Ruggero Vota

Con una solida formazione informatica e dopo un’esperienza triennale in software house, nel 1986 inizia l’attività giornalistica su riviste del settore ICT, mensili e settimanali. Dal 2012 è Caporedattore delle riviste ICT di Soi...

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