Love, Death & Robots, una serie ‘antisistema’

La seconda stagione in onda su Netflix affronta in maniera distopica alcune delle più viscerali angosce umane tra cui quelle legate allo sviluppo tecnologico.

Ci sono voluti più di undici anni di presentazioni, rimaneggiamenti e trattative affinché questo progetto vedesse la luce ma, dopo il clamoroso successo della prima stagione, sono bastati due anni per far tornare sul piccolo schermo una delle serie sci-fi più amate dagli adulti. Stiamo parlando di Love, Death & Robots, l’opera antologica nata dalla mente di David Fincher (Gone Girl, Fight Club, Mindhunters) e Tim Miller (Terminator, Deadpool), inizialmente come rivisitazione del film del 1981 Heavy Metal. Al tempo, il film era un sovversivo prodotto antologico composto da storie cyberpunk e distopiche, ispirate all’omonima rivista a fumetti statunitense, la cui influenza è evidente nelle copertine discografiche del panorama rock ed heavy metal di quegli anni.

Miller e Fincher hanno adattato il concept dell’81 con una prospettiva moderna, producendo, per la prima stagione, diciotto episodi dalla durata variabile dai sei ai venti minuti. Slegata da ogni connessione con la precedente, ogni puntata veniva affidata a un diverso studio di animazione che, basandosi su un breve racconto sci-fi selezionato da Miller e Fincher, lo rappresentava con uno stile e un tono unici. La prima stagione di Love Death & Robots era legata così dall’eterogeneità delle tecniche e delle atmosfere, delineando non solo il panorama delle tematiche sci-fi più ricorrenti, ma offrendo anche uno sguardo d’insieme alle ultime tendenze nel campo dell’animazione.

Una seconda stagione più matura

Distribuita su Netflix dal 14 Maggio, l’opera antologica è stata rinnovata in veste ridotta per numero di episodi: dalle diciotto della prima, la seconda stagione è composta da ‘sole’ otto puntate che mostrano però una maggiore coesione in termini di contenuti rispetto alla precedente. La selezione delle storie sembra più attenta, così come la consapevolezza delle possibilità della serie e dei gusti del pubblico. I creatori sembrano avere ben chiaro cosa aveva funzionato e cosa che invece aveva reso più debole il prodotto. Love, Death & Robots ci regala così una seconda stagione più matura che sì, continua a puntare sull’eterogeneità iconografica e tematica, ma senza ripetersi, mostrando ogni volta un mondo nuovo, più o meno distante dal nostro. La serie affronta in maniera distopica alcune delle più viscerali angosce umane. Varie sono figlie dello sviluppo tecnologico, come la tipica ansia legata ad un futuro sopravvento delle macchine sugli umani, altre sono insite nel nostro essere, come la consapevolezza e conseguente paura della nostra mortalità.

Cosa succede quando impazzisce un robot

La stagione si apre con Automated Customer Service, una puntata incentrata su Jeanette, una signora anziana che si trova improvvisamente a lottare per la sua vita e quella del suo cane dopo essere stata attaccata dal suo Vacuubot, un robot domestico impazzito. In solo una decina di minuti, la puntata riesce a sottolineare non solo la dipendenza verso le macchine, ma anche il sistema di produzione che si nasconde dietro a una domanda artificialmente alimentata di tali prodotti, problematica sia a livello filosofico che fisico. Infine, come da titolo, Automated Customer Service si pone come una sarcastica critica sociale dei call centre, sul loro futuro e sul loro vero scopo: non aiutare il cliente, bensì alimentare il giro economico che ne permette l’esistenza. Il malfunzionamento di un robot è al centro di un’altra puntata della serie: Life Hutch. Meno interessante da un punto di vista narrativo, ma più accattivante visivamente, l’episodio mostra un astronauta giocare al gatto e al topo all’interno di una navicella spaziale. Ciò che rende Life Hutch degno di nota è la qualità dell’animazione: siamo messi di fronte a un Micheal B. Jordan (Fruitvale, Black Panther) incredibilmente realistico grazie alla tecnica d’animazione usata che dà all’episodio un’atmosfera live action.

I prezzi dell’immortalità

Il tema dell’immortalità è affrontato in due episodi, Pop Squad e Snow in The Desert, ma viene trattato da due prospettive completamente diverse. Pop Squad si focalizza sulle conseguenze di un mondo in cui l’immortalità è alla portata di – quasi – tutti. È una puntata in cui utopia e distopia si mescolano per fotografare un futuro in cui la genitorialità è stata barattata a favore dell’eternità. “Non possiamo aggiungere persone a questa festa se non permettiamo che nessuno se ne vada”. In un mondo eterno, la natalità, con i rischi di sovrappopolazione, non ha posto. L’episodio ruota intorno alla vita del detective Nolan North, incaricato di stanare e uccidere qualunque essere umano nato illegalmente, e offre spunti di riflessione sull’amore genitoriale, il senso della vita e sulla relazione tra l’importanza del tempo e la crescita. Snow in the Desert si focalizza invece sulle conseguenze dell’immortalità in un mondo di mortali. Attraverso la vita di Snow, costantemente in pericolo per salvaguardare i suoi geni che gli permettono di guarire da qualunque ferita e mutilazione, l’episodio è uno spaccato sulla solitudine e sull’unicità. È una puntata che riassume tutti e tre i temi cardine della serie: la morte, l’amore e i robot, racchiudendo in sé generi molto diversi tra loro.

In The Tall Grass e in The Drowned Giant, la serie si interroga anche sulla natura dell’uomo. Nella prima, adattamento di un racconto breve di Joe Lansdale, siamo messi di fronte alla curiosità umana. Seguiamo un signore uscire a fumare una sigaretta nell’attesa che il treno su cui viaggia riparta. Perché il treno si è fermato? Cosa sono le luci che sembrano apparire e scomparire ad intermittenza nell’erba alta? Love, Death & Robots non promette risposte, ma gioca sull’indiscrezione.

The Drowned Giant è sicuramente l’episodio migliore della serie e non a caso è posto a conclusione della stagione. La puntata segue il ritrovamento di un corpo di un gigante su una spiaggia. È un inquietante scorcio sul processo di sfruttamento ed oggettivizzazione degli esseri umani. Nella puntata, la morte si trasforma in ricerca e profitto, in curiosità morbosa e macabro divertimento. Il corpo del gigante si configura come un simbolo materiale della putrefazione morale della società che osserviamo con distacco e disgusto attraverso gli occhi del protagonista, lo scienziato Steven.

La serie offre anche uno sguardo alternativo a feste tradizionali come quella di Babbo Natale. All through the house segue due bambini rimanere svegli la notte di Natale per cogliere in flagrante l’arrivo di Santa Klaus. Invece di un anziano signore dalla barba bianca, i due incontreranno un demone che li porterà ad interrogarsi sulle loro azioni dell’anno passato.

Un modello diverso di fruizione delle serie

Love, Death & Robots non mira solo a stravolgere quello che noi conosciamo solo da un punto di vista dei contenuti o, come nel caso di All through the house, delle tradizioni. L’obiettivo dei creatori è anche quello di proporre un’alternativa alla fruizione delle serie. L’idea di realizzare puntate dalla durata variabile e porle una accanto all’altra come un carosello di esperienze slegate tra loro è stata incredibilmente difficile da proporre a i network classici e anche per questo è approdata su Netflix, con non pochi impedimenti. Love, Death & Robots è sembrata infatti la serie perfetta per una piattaforma di streaming in cui la fruizione dei media avviene in una modalità diversa da quella dei canali ufficiali. “Abbiamo cercato di liberarci delle tipiche strutture da ventidue minuti, o da quarantotto minuti perché c’è questa risposta pavloviana a questa segmentazione che dal mio punto di vista sembra essere l’anatema dello storytelling” ha affermato Fincher, intervistato da IndieWire,” tu vuoi che la storia sia tanto lunga quanto deve essere per avere il massimo impatto o il suo obiettivo di intrattenimento”. Che siano sei minuti, quindici o venti. Niente scene aggiunte solo per riempire, per essere incastrate nel ‘giusto’ buco televisivo e interrotte da almeno tre pubblicità.

La diffusione di piattaforme di streaming e di siti di condivisione dei contenuti si configura al tempo stesso sia come la risposta ad una spinta creativa che vuole essere slegata da canoni tradizionali, sia come la ragione d’essere di un rinnovato modo di fruire dei prodotti audiovisivi. Si è venuto a creare così un circolo virtuoso in cui entrambi questi fattori interagiscono tra di loro e si rafforzano spostando sempre di più l’ago della bilancia verso una visione libera, alternativa, interattiva dei contenuti. Ben venga l’originalità di Love, Death & Robots, un ricco buffet di mondi animati, a volte folli, a volte cupi, ma sempre interessanti e provocatori.



Serena B. Ritondale

Serena B. Ritondale nasce a Roma nel 1991. Comincia la sua carriera da redattrice scrivendo per alcune testate online di letteratura e cinema, tra cui Vertigo24 dove ricopre il ruolo di Vice Caporedattore. Si laurea in Sociologia all’Università Sapienza di Roma e successivamente si diploma all’Istituto Rossellini come Videomaker per cinema, tv e web....

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