Fare e imparare: come si può colmare il gap?

Forse uno dei motivi per cui non incorporiamo il vero e proprio ‘fare’ nel processo di istruzione è perché ciò toglie autorevolezza a coloro deputati a istruirci.

Apprendimento e pratica. La nostra società, di fatto, li separa. Da qualche parte lungo la strada della nostra evoluzione, probabilmente abbiamo deciso che uno interferiva con l'altra. Per esempio, se, dopo le superiori, decidi di fare il medico, ti iscrivi a medicina, vai ancora a scuola per diversi anni per diventare un medico, ma durante questi lunghi anni, per la maggior parte del tempo impari a fare il dottore, non ‘fai’ il dottore. Altro esempio: ti assumono come copywriter o giornalista. La quasi totalità del tempo lo passi a ‘fare’, cioè a scrivere, non a imparare modi per ‘fare’. Gli anglofoni distinguono bene i concetti di ‘learning’, apprendimento, ed ‘education’, istruzione. La verità è che la cosa che etichettiamo come learning è spesso in realtà education. Detta in italiano e in parole povere: “Andare a scuola non significa imparare (qualcosa di utile)”.

La parola Istruzione richiama infatti le conformità, le regole, le classifiche di rendimento, il pensiero che abbiamo tutti in vista di un’interrogazione (“Cosa mi chiederanno? In cosa consiste la verifica?”). E quando ti interrogano di sorpresa, la prima cosa che viene in mente è “Ma non aveva detto che oggi spiegava?”. Non fraintendetemi. Andare bene a scuola è importante, e lo dico sempre a mia figlia, ma non è esattamente la stessa cosa che imparare qualcosa di ‘utile’. Forse uno dei motivi per cui non incorporiamo il vero e proprio ‘fare’ nel processo di istruzione è perchè ciò toglie autorevolezza a coloro deputati a istruirci.

Qualche numero sulla formazione in Italia

Secondo il Ministero dell’Istruzione (anno scolastico 2019-2020), gli studenti italiani sono 8,5 milioni. Ognuno di loro spende circa 200 giorni all’anno a scuola, per un monte totale annuo di 170 milioni di giornate! La maggior parte di questi studenti però non si ingaggia, giorno per giorno, in alcuna iniziativa produttiva a eccezione della scuola stessa, non riuscendo quindi a portare vera sperimentazione e interazione nella vita reale in relazione alle cose insegnate.

Analogamente, secondo l’ISTAT, sono oltre 23 milioni le persone impiegate in Italia. Però poche di loro leggono libri o vengono regolarmente istruite e aggiornate su come svolgere meglio il proprio lavoro di oggi e, soprattutto, di domani. Né loro si preoccupano di migliorarsi autonomamente. Per molti, l’istruzione sul posto di lavoro è considerata una distrazione o, nella migliore delle ipotesi, una scomodità o una perdita di tempo (“Oggi è una giornata molto piena …”).

Il divario tra fare e imparare è quindi reale. Pongo una domanda a voi imprenditori e manager: cosa succederebbe se la fase di apprendimento fosse sempre accoppiata a una fase attiva e pratica? E, analogamente, cosa succederebbe se le attività lavorative fossero sempre accoppiate a una fase di apprendimento? Cosa succederebbe se, grazie a un processo mentale insito in noi, analizzassimo ogni giorno il nostro lavoro e dedicassimo del tempo a imparare qualcosa dagli errori commessi o anche solo a introdurre piccole migliorie continuative allo status quo?

Cosa fa veramente la differenza

Quando si investe tempo nello studio e nell'indagine di nuovi approcci, spesso l'efficacia e la produttività aumentano e così anche la soddisfazione sul lavoro. Quando gli studenti di scienze, per esempio, escogitano e gestiscono i propri test di laboratorio, la loro comprensione del lavoro migliora notevolmente.

L'istruzione, ovvero il sistema basato sulla ‘conformità’ che tutti noi abbiamo sperimentato, dovrà, prima o poi, subire un cambiamento enorme, grande quanto quelli che hanno colpito gli altri settori che sono stati assemblati e poi disassemblati dall'effetto di Internet. Eppure, il nostro sistema scolastico (non mi riferisco solo all’Italia: è questo, secondo molti, un tema mondiale), a parte l’introduzione forzosa della Didattica a Distanza, non è veramente cambiato negli ultimi decenni.

Venendo al settore di cui mi occupo, la consulenza nel digitale, in rete c’è un sacco di gente che vende formazione. Si parla di formule magiche e di Master class. Le persone si iscrivono a questi eventi, pagando profumatamente, aspettandosi di accedere a grandi segreti con pratiche quasi iniziatorie. Invece, ciò che fa veramente la differenza è il duro, ma insostituibile, e diuturno lavoro di riflessione, analisi, coinvolgimento, confronto, apprendimento, miglioramento. Parole poco di moda, forse (è molto più attraente far intravedere delle rapide scorciatoie), ma, a mio avviso, davvero imprescindibili.

Quale alternativa, in concreto?

L'alternativa? Un vero ‘apprendimento’. Ma un apprendimento che abbracci il fare. Quindi: fare qualcosa, analizzare i risultati ottenuti, essere analizzato e quindi studiare nuove modalità di operare. Il vero apprendimento deriva quindi dall’esecuzione di progetti rilevanti e sfidanti e dal coinvolgimento con i tuoi pari. Imparare e fare assieme e allo stesso tempo, ciascuno stimola e migliora l'altro.

Se vuoi imparare il marketing, studia e fai marketing. Se vuoi fare marketing, è utile studiare e, al contempo, imparare a fare marketing. Per citare i Pink Floyd (Another Brick in The Wall): “We don’t need no education, we don’t need no thought control, …, teachers leave them kids alone”. Ok, magari non abbiamo bisogno di troppa ‘education’ (istruzione) ma forse potremmo trarre vantaggio da un po' di sano ‘learning’ (apprendimento). Mentre facciamo il nostro lavoro (o studio, o qualsiasi altra attività, fosse anche un hobby), potremmo trarre grande vantaggio dall'imparare a fare meglio quello che facciamo.

Per farlo dobbiamo metterci la testa e volerlo davvero. Ogni sera dovremo andare a casa e rispondere a due domande chiave: (1) Cosa ho fatto oggi, in concreto? (2) Cosa ho imparato oggi, in concreto?

In conclusione

Amici del canale, come vi state organizzando? Voi e le vostre persone state capendo come fare qualcosa di meglio e di diverso ogni giorno? Sapete scoprire gli errori (anche i vostri)? Aiutate i vostri collaboratori e colleghi a imparare dai loro sbagli? E voi, state imparando dai vostri errori? Magari no. Magari perché non li considerate sbagli. Forse perché “si è sempre fatto così”. Forse, tecnicamente, non sono errori, però sicuramente c’è modo di fare più e meglio con lo stesso sforzo e le stesse risorse. O, magari, con minore sforzo e risorse. Ne vogliamo parlare?


Primo Bonacina

Bergamasco di nascita e milanese per professione, Primo Bonacina si occupa d’informatica dal 1980, primo in ordine di laurea tra gli studenti (1984) della neocostituita Facoltà di Informatica di Milano. Dal 1984 ha operato con ruoli di responsabilità crescente per aziende multinazionali dell'IT. Le più note: Olivetti, 3Com (ora HPE), Magirus/Tech Dat...

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