Aziende, monarchie e monarchici

Quando il capo azienda è anche il fondatore, spesso opera come un ‘re autocratico’. Ma quando arriva il cambiamento bisogna dimostrare di saper interpretare al meglio i tempi nuovi.

Amici imprenditori e manager, da quando esiste una storia documentata, re e regine hanno governato e sono stati celebrati dai loro sudditi. Non ovunque, non sempre, ma ampiamente.

Vale poi la pena di ricordare che, oltre ai monarchi, ci sono i ‘monarchici’, cittadini e seguaci che preferiscono la certezza che deriva dal seguire qualcun altro. A quanto pare, la ‘regalità’ offre qualcosa di valido ai governanti ma anche ai governati. Se così non fosse, non esisterebbe.

Tanto nell'antropologia quanto nell'immaginario popolare, i re sono figure di fascino e intrigo, eroi o tiranni in modi in cui i ‘normali’ presidenti non potranno mai esserlo. È importante esplorare cosa sia realmente la regalità, storicamente e antropologicamente. I re sono simbolo di qualcosa di più della semplice sovranità: in effetti, lo studio storico della regalità offre una finestra unica sui dilemmi riguardanti la natura stessa del potere, del significato e della condizione umana. Riflettendo su questioni come la temporalità, l'alterità e l'utopia, per non parlare del divino, dello strano, del numinoso e del bestiale, possiamo esplorare il ruolo dei re come sono esistiti in tutto il mondo, dai BaKongo agli Aztechi, allo Shilluk e oltre, fino alla odierna Elisabetta II e alla saga popolare di Carlo e Diana, William e Kate (e il piccolo George), Meghan e Harry.

In realtà, c'è spesso uno schema nella natura dei monarchi. La regalità non deve rispettare le stesse regole culturali a cui siamo soggetti tutti noi e spesso ‘viene da lontano’. Avere qualcuno con un luogo e un background diversi consente alla popolazione di liberarsi dal problema di creare il futuro. Se la tua partecipazione alla leadership non è richiesta, sei libero di essere uno spettatore. Puoi commentare, ma senza vere responsabilità, proprio come facciamo tutti i giorni sui social: puoi dire la tua sul conflitto in Afghanistan o sui vaccini o sul problema del riscaldamento globale, tanto nessuno ti chiederà veramente di mettere alla prova le tue teorie, magari bislacche.

E in azienda?

Questa premessa sulla ‘regalità’ delle nazioni e dei popoli, ci porta a parlare di quella delle aziende. Quando abbiamo industrializzato il mondo nei secoli scorsi, abbiamo adottato una struttura quasi regale. Molte organizzazioni industriali occidentali iniziarono tramite un fondatore che ne divenne subito il CEO (amministratore delegato). Come è normale, alcune aziende sono poi fallite, altre hanno avuto successo. Di quelle che hanno (o hanno avuto) successo, oggi conosciamo i nomi mitici di alcuni dei loro CEO: Steve Jobs, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Bill Gates, Marc Benioff, Richard Branson e così via. Tutte figure carismatiche. I grandi amministratori delegati, a quanto pare, non possono sbagliare. Sono insostituibili e, di fatto, incontestabili. Quanto meno fino a quando il mondo in cui conducono i loro affari non cambia intorno a loro. Nelle grandi corporation, il capotribù (il CEO e fondatore) autocratico e ben pagato ha un po’ l'aspetto di un monarca. Ha magari un jet privato e uno staff di persone al suo servizio. Ha sempre ragione o, quanto meno, il beneficio automatico del dubbio (“se lo dice lui, sarà così …”). Lavorare in questo contesto richiede obbedienza e impegno da parte dei dipendenti più che intraprendenza o autonomia di pensiero.

La cosa interessante è che una ‘monarchia costituzionale’ (in un’azienda o in una nazione) ben funzionante è sorprendentemente efficace. Non servono elezioni. Si sa chi comanda, si sa chi è preposto a eseguire gli ordini. Come in un’organizzazione militare: “Soldato, fai il tuo compito, che è ben chiaro e va svolto secondo un preciso protocollo”.

Il problema si verifica quando il mondo cambia, quando il monarca comincia a sbagliare, a perdere smalto o non è più al passo con i tempi, allora il sistema smette di funzionare al meglio. Il problema può verificarsi per varie cause. Magari perché i reali diventano egoisti, avidi, miopi, autocratici o impazienti. Oppure il problema potrebbe essere insito nel sistema stesso, che incentiva un comportamento dei dipendenti o membri o cittadini che non diano un vero contributo, che si adagino “sull’abbiamo sempre fatto così”. In questo modo, il sistema diventa naturalmente meno resiliente ai cambiamenti e intrinsecamente più fragile. E non basta cantare ‘God Save the Queen’.

Quando il mondo cambia, e lo fa, oggi più velocemente che mai, sono la capacità di innovazione, l’insieme di tutti i contributi e la connessione di tutte le menti e anime che lo fanno andare avanti. Le organizzazioni veramente moderne stanno scoprendo che il tutto è maggiore della somma delle parti. Noi interconnessi e cooperanti siamo più informati, potenti, produttivi di noi separati, magari obbedienti ma impegnati a far il nostro compito in compartimenti stagni.

Le aziende hanno sì bisogno di esecutori, però di esecutori ‘pensanti’. Hanno bisogno di individui che lavorino concretamente ma anche che facciano sentire la loro voce a fronte di un problema, di un’opportunità, di un cambiamento. Le aziende hanno bisogno di colleghi e collaboratori pronti ad assumersi con entusiasmo la responsabilità del compito che svolgono in modo efficace, produttivo, equo, talvolta innovativo.

Le aziende, insomma, devono essere pronte a coltivare al loro interno, i nuovi ‘monarchi’. Che però non saranno veri monarchi, bensì primi ministri costituzionalmente eletti, pronti a fare la loro parte e a subentrare al predecessore, proprio come Steve Ballmer (CEO di Microsoft dal 2001 al 2014) subentrò a Bill Gates (1975–2000), ma fu poi, a sua volta, rimpiazzato da Satya Nadella nel 2014.

In conclusione

La domanda chiave per voi: state formando i vostri nuovi manager in azienda? E, se l’azienda è vostra, e pensate di lasciarla a vostro figlio, siete sicuri che vostro figlio sarà il miglior CEO possibile? Questo è spesso ciò che succede in un capitalismo familiare italiano, a volte tanto geniale, quanto talvolta incapace di superare l’ultimo miglio: dotarsi di una governance stabile e all’altezza delle sfide future. Lasciamo quindi spazio a un tipo diverso di imprese che devono sempre meno essere fondate sul cosiddetto capitalismo relazionale e sempre più esposte invece al confronto internazionale.

E voi, vi ritrovate in questi pensieri? State facendo crescere in azienda il vostro futuro management? E, se no, è perché non avete al vostro interno le persone giuste (e allora perché non cercarle?), oppure, se le avete e non date loro spazio, inevitabilmente andranno fuori a cercare di creare un loro ‘regno’ nel quale potranno finalmente considerarsi ‘re’ a tutti gli effetti; o magari andranno a lavorare per un altro ‘re’, che quasi certamente sarà un vostro competitor, presso il quale però avranno il ruolo di ‘ministro’ o addirittura di ‘premier’. Ne vogliamo parlare?


Primo Bonacina

Bergamasco di nascita e milanese per professione, Primo Bonacina si occupa d’informatica dal 1980, primo in ordine di laurea tra gli studenti (1984) della neocostituita Facoltà di Informatica di Milano. Dal 1984 ha operato con ruoli di responsabilità crescente per aziende multinazionali dell'IT. Le più note: Olivetti, 3Com (ora HPE), Magirus/Tech Dat...

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