Il dilemma delle decisioni
Quando chi opera in azienda deve fare una scelta questa deve partire dai dati che possono essere tuttavia tantissimi ma anche del tutto assenti. Gli scenari possibili secondo l’ION Management Science Lab dell’Università Bocconi.

“Due sono i problemi che affliggono principalmente il tema del decision making. Il primo è quello di generare l’incertezza che si intende affrontare e il secondo è quello, una volta che l’incertezza è stata definita, di mitigarla e di ridurla. Lo strumento per generarla sono le teorie, lo strumento per mitigarla e ridurla sono gli esperimenti.” Così Arnaldo Camuffo, docente dell’Università Bocconi e di SDA Bocconi School of Management dove è Co-Direttore, con il collega Alfonso Gambardella e Andrea Pignataro, dell’ION Management Science Lab, introduce un tema che nella aziende (e non solo) viene supportato sempre più spesso dalla tecnologia. E che proprio il laboratorio guidato da Camuffo e Gambardella da anni ha messo sotto la lente di ingrandimento.
“Per una decina di anni abbiamo condotto una serie di field experiments su imprenditori a livello mondiale, dall’Italia al Regno Unito, dall’Olanda alla Spagna, dall’India alla Cina alla Tanzania. Il tema era questo: ‘per fare gli imprenditori, dovete prendere decisioni. Vi offriamo un corso gratuito in loco di tre mesi comprensivo di una serie di lezioni, compiti da svolgere e attività pratiche.’ Utilizzando l’approccio proprio dei ‘randomized control trials’, i partecipanti al progetto sono stati assegnati casualmente a due gruppi: uno – quello sperimentale – cui è stato insegnato come prendere decisioni imprenditoriali secondo l’approccio scientifico, cioè utilizzando teorie ed esperimenti; l’altro – gruppo di controllo – cui è stato insegnato come prendere decisioni imprenditoriali secondo gli schemi tradizionali. Prima, durante e dopo l’intervento sperimentale (per un intero anno) abbiamo raccolto i dati su questi imprenditori e le loro startup tramite questionari e interviste. I risultati delle analisi statistiche sono stati sorprendenti e illuminanti, tanto da essere pubblicati sulle più importanti riviste accademiche e scientifiche così come su quelle di più ampia diffusione. Abbiamo dimostrato che gli imprenditori che ragionano per teorie ed esperimenti, cioè adottano l’approccio scientifico al decision-making, hanno performance migliori sotto tre dimensioni.”
La prima, spiega Camuffo, è che gli imprenditori che prendono decisioni in modo scientifico si accorgono prima che i loro progetti non sono validi e quindi li abbandonano con maggiore frequenza e anticipo. È ciò che gli americani definiscono ‘rational quitting’ (abbandono razionale), ossia accorgersi che il problema decisionale esistente è un problema che o è sbagliato o non è promettente da affrontare o che, comunque, la decisione migliore, a fronte del frame del problema in esame, è quella di fermarsi. “Si tratta di un elemento importante, in quanto sappiamo che anche nelle grandi imprese il tasso di ‘soppressione’ dei progetti interni è sempre molto basso, anche in ambito ricerca e sviluppo. Questo perché esistono delle distorsioni decisionali (i bias) – come ad esempio la ‘overconfidence’ o l‘escalation of commitment’ – che fanno sì che si aggiunga sempre, e non si sottragga mai, non si elimini mai, non si chiuda o modifichi mai il processo in corso, nonostante i risultati ottenuti non siano positivi…” La seconda è che gli imprenditori ‘scientifici’, sempre rispetto al gruppo di controllo, cambiano idea, cioè apprendono di più e meglio. Nel gergo imprenditoriale, essi ‘fanno pivot’ in modo meno casuale e più focalizzato, convergendo in modo più rapido. Il terzo risultato è che gli imprenditori che ragionano per teorie ed esperimenti sono più performanti in termini di ricavi e profitti.
“Dopo anni di attività di ricerca tramite esperimenti sul campo – prosegue Camuffo – abbiamo quindi iniziato a riflettere su cosa faccia davvero la differenza nelle decisioni strategiche. Sulla base dei nostri studi e delle tendenze emergenti nei centri di ricerca all’avanguardia a livello internazionale, abbiamo capito che, in un mondo digitale in cui la disponibilità di dati e la possibilità di raccoglierli tramite esperimenti è cresciuta esponenzialmente, l’elemento chiave sono le teorie. Le teorie sono le ‘lenti’ attraverso cui manager e imprenditori formulano i problemi decisionali e filtrano i dati. Le teorie sono lo strumento per formulare i problemi decisionali quando i dati non ci sono, cioè quando i manager esplorano nuovi mercati e tecnologie o si cimentano nella costruzione di nuovi modelli di business. Costruire tali teorie è un esercizio non facile per i manager in quanto richiede di passare – come suggeriva Daniel Kahneman – a un sistema di pensiero cognitivamente più dispendioso.”
Osservare chi e come decide
Questi studi hanno portato alla stesura di un programma di ricerca decennale che ha poi portato alla nascita dell’ION Management Science Lab (IMSL) in SDA Bocconi. “L’analogia che utilizziamo è che IMSL è come il ‘Monzino dei processi decisionali’. Laddove questo centro cardiologico di Milano si occupa del cuore da tutte le prospettive possibili, noi ci occupiamo del decision making sotto incertezza utilizzando un approccio interdisciplinare combinando le prospettive delle scienze cognitive, dell’economia, delle scienze decisionali, della computer science, e così via”, sottolinea Camuffo, aggiungendo: “Tutte le decisioni manageriali hanno esito incerto, ma sono classificabili in due grandi tipologie: la prima, che definiamo High Frequency Low Impact Decisions (HFLI) è quella delle decisioni in cui il problema decisionale è sostanzialmente noto e sono disponibili tanti dati. Facciamo l’esempio di una grande catena di ristorazione come Starbucks. Quando deve decidere se e come aprire un nuovo coffee store, ovviamente lo fa in condizioni di incertezza. Tuttavia, può contare sui dati – dimensione, fatturato per metri quadri, staffing, rapporto tra lavoratori stabili e temporanei e così via – relativi a 19.000 altri coffee store e utilizzare questi come base decisionale. Si tratta di una decisione strategica, ma ricorrente, cioè relativa a un problema decisionale ben definito. Ovviamente, l’incertezza sulla decisione rimane – sarà un coffe store di successo? – ma con così tanti dati disponibili e un modello di analisi ben ‘addestrato’ si possono prendere decisioni solide. In questi casi si parla in linguaggio tecnico, di ‘predictions’ in contesti decisionali di tipo ergodico, in cui essenzialmente si può utilizzare il passato per fare delle valide previsioni rispetto al futuro. Questa situazione può avere una versione leggermente diversa quando non si è in possesso di un dato specifico ma è comunque possibile servirsi di contesti simili sempre per arrivare, di nuovo, a delle predictions ragionevoli.”
La previsione di Camuffo è che queste decisioni, che rappresentano la maggioranza delle decisioni aziendali, saranno progressivamente prese dall’intelligenza artificiale, da algoritmi o da umani ‘fortemente aumentati’ dall’AI. “È verosimile che, nell’industria e nei servizi, accada qualcosa di simile a quanto è accaduto nel settore dei servizi finanziari. Trent’anni fa un ‘esercito’ di traders gestiva le transazioni finanziarie. Oggi un numero esponenzialmente maggiore di transazioni è gestito da algoritmi e ‘agenti’ gestiti da pochi ‘quant managers’.”
Affrontare il nuovo
Le decisioni restanti sono quelle importanti o strategiche che determinano il future delle imprese. I ricercatori dell’ION Management Science Lab le definiscono ‘Low Frequency High Impact (LFHI) Decisions. Per queste decisioni esistono pochi dati (o mancano del tutto), ragion per cui imprenditori e manager devono innanzitutto definire il problema decisionale e capire, utilizzando il ragionamento causale ed esperimenti, quali informazioni raccogliere. Per esempio, sostiene Camuffo, la pandemia di Covid-19 ha ‘azzerato’ molti problemi decisionali mettendo individui e organizzazioni di fronte a scelte basate su una situazione senza precedenti. “Ad esempio, la pandemia ha radicalmente trasformato i modelli di consumo rendendo inutili o almeno radicalmente obsoleti i dati, modelli previsionali e algoritmi su cui le aziende commerciali avevano basato gli assortimenti dei punti vendita. E ancora, spostandoci da un evento come la pandemia, queste discontinuità possono derivare non da shock esogeni come la pandemia, ma da cambiamenti endogeni, cioè da nuovi mercati, prodotti o modelli di business ‘pensati’ e messi a punto da manager e imprenditori. È questo il caso di aziende che hanno ‘inventato’ mercati che non esistevano, dal ‘turismo spaziale’ di Space-X agli energy drinks di RedBull. La qualità di ogni decisione strategica dipende non solo dalle informazioni disponibili e da come sono utilizzate per scegliere l’azione ottima, ma anche e soprattutto da come il problema decisionale è formulato”.
Per il ricercatore in questo momento gli umani sono per ora molto più bravi delle macchine in quanto particolarmente abili nella costruzione dei modelli partendo da informazioni molto ‘sparse’. “È il segreto che sta dietro alla nascita di una realtà come Revolut, partita da una semplice osservazione: i costi e le inefficienze bancarie nei pagamenti internazionali. Noi di ION Management Science Lab riteniamo che la vera fonte del vantaggio competitivo risiede nella capacità di generare teorie del valore, dato che gli esperimenti, con la digitalizzazione del business, si possono fare in modo sempre più diffuso ed efficiente. Imprese come Google, Amazon, Nvidia crescono rapidamente perché sono rapidissime nella costruzione di modelli nuovi, scartandoli e testandoli, ipotizzando e realizzando stati futuri nuovi. L’esplorazione di futuri alternativi rende più probabile la scoperta di quelli di successo.”
Su questo versante l’ION Management Science Lab ha sviluppato una piattaforma con soluzioni tecnologiche avanzate basate su AI per la ricerca e l’apprendimento dell’approccio strategico basato sulle teorie del valore. “Abbiamo inoltre sviluppato strumenti diagnostici per consentire a manager e imprenditori di misurare grado di scientificità del loro decision making. La nostra Scientific Decision Making Survey è già stata somministrata a circa 10.000 manager e consente di effettuare un benchmarking rispetto a come un decisore si serve di teorie ed esperimenti nell’affrontare decisioni. A giudizio delle imprese partecipanti, i risultati sono utili e per certi versi sorprendenti”, conclude Camuffo.