Cosa abbiamo imparato sulla leadership nel 2020

Usare un linguaggio diretto, chiaro ed empatico per superare le situazioni di crisi.

Amici del canale, la recente pandemia ha creato un periodo di interruzione improvvisa per la maggior parte delle aziende nel mondo, con un Paese dopo l'altro che è andato in lockdown. Come hanno risposto i leader delle aziende a questo inaspettato evento? In realtà, qualsiasi nuova crisi chiede ai leader di affrontare nuove incertezze e prendere decisioni relative a eventi mai vissuti prima. Se analizziamo cosa si intende per ‘leadership’, è sempre più riconosciuto dagli studiosi che questa è “la capacità di influenzare gli altri e di indirizzarli verso obiettivi precisi”. Purtroppo non esistono vere e proprie scuole che preparino i leader a gestire situazioni di crisi impreviste e imprevedibili.

Saper motivare

È considerato ormai acquisito il fatto che il mondo stia diventando sempre più interdipendente. I fattori sociali, economici e tecnologici si uniscono a generare un ecosistema sempre più complesso. Eppure i leader aziendali non sono pronti a gestire una potenziale interruzione di questi ecosistemi. Per questo motivo, non deve sorprendere che i risultati aziendali (e dei diversi Paesi) nel 2020 siano stati così difformi. Alcuni leader aziendali (e politici) hanno dimostrato una straordinaria capacità di aiutare il loro business (o nazione) ad adattarsi alla crisi, mentre altri hanno preso decisioni sbagliate e, in alcuni casi, hanno rovinato le loro aziende (o Paesi).

In realtà, i leader dovrebbero essere in formazione continua. È utile, a questo proposito, esplorare il lavoro di Jacqueline e Milton Mayfield, una coppia di professori americani che hanno studiato i 3 pilastri su cui si regge la comunicazione di un leader che sappia motivare il suo team a dare il meglio di sé. In inglese questi 3 pilastri si chiamano direction-giving, meaning-making e empathy, ovvero offrire una direzione, creare senso, avere empatia.

Tre elementi da bilanciare

I Mayfield parlano di tre pilastri della comunicazione e di tre linguaggi a essi correlati:

1.Il linguaggio direttivo è quello che riduce l’incertezza: i leader forniscono informazioni chiare su come affrontare con precisione un compito da svolgere, con istruzioni di facile comprensione, accurata definizione dei compiti e criteri di valutazione oggettivi

2.Il linguaggio creatore di senso spiega perché un determinato compito è importante. Ciò significa mettere in connessione gli obiettivi dell’azienda con quelli degli ascoltatori.

3.Il linguaggio empatico mostra che si tiene al lavoratore in quanto persona. Può essere declinato come apprezzamento, incoraggiamento, gratitudine o riconoscimento della difficoltà.


Un buon discorso di incoraggiamento, che si rivolga a un gruppo o a una singola persona, dovrebbe comprendere tutti questi 3 elementi il cui peso relativo dipenderà dal contesto e dal pubblico a cui viene indirizzato.

Alcuni esempi

I Mayfield hanno studiato, per esempio, il CEO di una start-up produttrice di farmaci per la cura delle patologie cardiache e della sclerosi amiotrofica laterale, malattie a causa delle quali alcuni dipendenti avevano perso una persona cara. Per questo, nelle riunioni plenarie, il CEO poteva facilmente affermare: “So che tutti qui vogliono contribuire a salvare vite umane. Il nostro lavoro è proprio questo”.

Per contrasto, il responsabile di un fast-food che parli ad operatori part-time di giovanissima età dovrà impegnarsi per toccare tutti e tre gli elementi del linguaggio motivante e non potrà limitarsi a dare loro istruzioni. Potrà dire, toccando il registro empatico: “So che questo lavoro non è facile”. Oppure, per collegare creativamente il lavoro agli obiettivi individuali, potrebbe dire: “Come azienda il nostro scopo non è solo quello di servire ai clienti un pasto rapido e soddisfacente, ma anche di fornire un’occupazione valida e stabile ai nostri collaboratori. Più vi impegnerete, prima e meglio potremo raggiungere entrambi”. 

Dagli studi dei coniugi Mayfield emerge come quello relativo alla ‘creazione di senso’ è spesso il più arduo dei tre elementi. Ciò che è chiaro è che una forma di leadership che enfatizzi la collaborazione, la creatività e l'impegno delle persone è attesa da tempo. La cosa interessante è che le organizzazioni spesso dispongono di un certo numero di persone con queste capacità, a vari livelli dell’organizzazione. Sono i cosiddetti ‘leader incentrati sui problemi’. Il fatto è che costoro non si percepiscono necessariamente come leader, anche perché raramente occupano ruoli di alta direzione anche se sono viste all'interno delle organizzazioni come capaci di far accadere le cose giuste. Quando vengono assegnati compiti difficili, tutti vogliono che loro guidino o facciano parte del team di progetto. I leader incentrati sui problemi talvolta mancano di status e non aspirano a una carriera manageriale eppure, in una crisi, sono quelli da cui l'organizzazione dipende per risolvere le cose in fretta.

I coniugi Mayfield hanno anche scoperto che il dare indicazioni è spesso abusato mentre l'empatia e la spiegazione sono sottoutilizzate. Ciò può essere dovuto al fatto che il modello di leadership occidentale è legato all'approccio del ‘leader come eroe’, colui che, in tempi di crisi, tende a centralizzare l’impegno su di sé. Ci viene quindi naturale metterci in ‘modalità top-down’: ci aspettiamo che lo scienziato sappia come affrontare il virus, che il primo ministro prenda le giuste decisioni, che il leader di un’azienda sappia dove portarla. Però l'equilibrio tra l’essere empatici, chiedere input, ascoltare, impegnare tempo fornendo agli altri il contesto e la logica delle decisioni aiuta veramente le persone ad affrontare una crisi a tutti i livelli, aziendali e personali.

Imparare dagli esempi positivi

Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace, inventore del microcredito, parlando ai giovani li esorta: “Dovete smetterla di cercare un lavoro. Dovete creare il vostro lavoro (e potenzialmente quello di tanti altri). Il vostro lavoro consiste nel guardare là fuori e rispondere a quel che vedete. Dovete scegliere se volete abitare il mondo così come è, o se volete creare un vostro mondo migliore, risolvendo problemi reali”.


Primo Bonacina

Bergamasco di nascita e milanese per professione, Primo Bonacina si occupa d’informatica dal 1980, primo in ordine di laurea tra gli studenti (1984) della neocostituita Facoltà di Informatica di Milano. Dal 1984 ha operato con ruoli di responsabilità crescente per aziende multinazionali dell'IT. Le più note: Olivetti, 3Com (ora HPE), Magirus/Tech Dat...

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