Cefriel, l’intelligenza artificiale al servizio delle analytics

Il centro di innovazione, formazione e ricerca sul digitale indica alle aziende la strada da seguire per cogliere al meglio tutti i benefici dell’AI nell’analisi dei dati.

L’intelligenza artificiale, o AI, considerata da molti come tra le tecnologie più promettenti e di maggior impatto in diversi ambiti applicativi, di fatto, senza dover necessariamente immaginare scenari futuristici, è applicata già oggi con successo in molti contesti diversi. “Nell’esperienza di lavoro quotidiano con le imprese – afferma Gianluca Ripa, responsabile della practice Analytics and AI di Cefriel – l’intelligenza artificiale è già a disposizione di tutti e molto utilizzata, a volte anche in modo non completamente consapevole da parte degli utenti. Tralasciando il mondo della ricerca accademica, c’è da dire che viene spesso percepita in modo distorto, passando da aspettative esagerate circa le reali possibilità della tecnologia a eccessiva e ingiustificata sfiducia riguardo ai risultati ottenibili”.

Gianluca Ripa, responsabile della practice Analytics and AI di Cefriel

Come è cambiato il mondo delle analytics grazie all’AI?

L’AI disponibile e utilizzata oggi sfrutta metodi statistico-matematici e la capacità computazionale dei computer per estrarre informazioni da qualsiasi tipologia di dato in forma digitale e per analizzarli al fine di aiutare l’essere umano a svolgere alcuni compiti in modo più efficace. Alcuni esempi possono chiarire meglio. L’AI permette di sfruttare dati ampiamente disponibili in grande quantità o comunque poco costosi da reperire in modo automatizzato (come, per fare un esempio, le tracce delle celle telefoniche o gli open data disponibili in alcune città) per estrarne informazioni di maggior valore che sarebbero invece molto costose da acquisire.

Tramite il ricorso all’intelligenza artificiale è poi possibile analizzare dati di origine e significato diversi per comprendere il quadro d’insieme di un fenomeno complesso come, ad esempio, le caratteristiche e le dinamiche di una città o di un territorio. O ancora, attraverso algoritmi predittivi è possibile supportare e ottimizzare la gestione di asset critici dislocati su vasti territori in modo da supportare un processo decisionale, per esempio prevenendo guasti e imprevisti e limitando così blocchi alla produzione o interventi manutentivi d’urgenza solitamente particolarmente costosi. Infine, l’AI può essere sfruttata anche in modo predittivo e prescrittivo per indirizzare le attività di diversi soggetti che devono coordinarsi per raggiungere uno scopo comune, come ad esempio nella gestione del traffico cittadino o di particolari attività aziendali. In ognuno degli esempi citati gli elementi chiave sono tre: il compito da analizzare per comprendere in profondità le esigenze; i dati da raccogliere e rendere disponibili in quantità e qualità adeguate; i modelli computazionali da selezionare, addestrare e verificare.

Quale il ruolo del data scientist?

Compito del data scientist è proprio quello di selezionare e combinare in modo appropriato i tre elementi citati sopra e soprattutto individuare quali sono i dati migliori con i quali poter ‘crescere’ (e quindi addestrare) una intelligenza artificiale. Ad esempio, immaginiamo di aver addestrato un algoritmo di AI per il riconoscimento di crepe sulle superfici di un edificio sulla base del contenuto di immagini rilevate per mezzo di droni in aree poco accessibili, e immaginiamo poi di dover rilevare anche macchie di umidità o ruggine. È possibile che possano bastare anche solo pochi dati aggiuntivi per riaddestrare l’AI già disponibile al nuovo caso specifico e ottenere il risultato voluto, senza necessariamente dover mettere in campo big data. Questo stesso meccanismo può essere utilizzato per permettere all’AI di apprendere e migliorare nel tempo. Infatti un programma software è in grado di eseguire un insieme di istruzioni predefinite e congelate in un certo momento in cui il programma è stato creato. Quando qualcosa cambia nel contesto in cui il software viene eseguito, il programma causa errori o non svolge più il suo compito in modo efficace e deve essere riscritto da un programmatore per modificare la sequenza di istruzioni di conseguenza. L’AI è un tipo un programma a cui non sempre serve cambiare le istruzioni: può bastare fornirgli nuovi dati per farlo imparare e permettergli di modificare leggermente i suoi comportamenti quel tanto che basta per rispondere alle nuove esigenze.

Qualche esempio di applicazione

Uno degli ambiti in cui l’intelligenza artificiale può essere utilizzata già adesso senza grandi sforzi e con un impatto evidente sulla qualità del lavoro svolto è quello delle traduzioni. Se per esempio una catena di negozi presente a livello globale ha bisogno di tradurre informazioni sui prodotti in molteplici lingue, tramite traduttori automatici multilingua, ampiamente disponibili, può impiegare l’AI per addestrarli a riconoscere e selezionare i testi delle campagne create dall’area marketing e comunicazione in modo da adeguare gli slogan ideati di volta in volta rispetto a traduzioni valide non solo da un punto di vista linguistico ma anche di giusto contesto. L’AI serve ad assistere una persona nell’esecuzione di un compito: per esempio si può utilizzare per fornire suggerimenti, basati su numerose informazioni da analizzare in tempo reale, riguardo ad argomenti sensibili come ad esempio una analisi triage al pronto soccorso, una richiesta di finanziamento in banca, un colloquio di assunzione, l’ammissione in un corso di master e così via. In questo tipo di applicazioni due elementi sono fondamentali da considerare rispetto al suggerimento ottenuto: ‘fairness’, ovvero l’equità della scelta algoritmica, e la ‘spiegabilità’.

Alfonso Fuggetta, CEO e direttore scientifico di Cefriel

Al fine di valutare la fairness dell’AI, e quindi selezionare e verificare il giusto modello algoritmico e il giusto set di dati di addestramento, Cefriel ha lavorato a un progetto, Amnesia, che consente di limitare i rischi di unfairness delle intelligenze artificiali. Esistono, inoltre, metodi per rendere più trasparenti (almeno fino a un certo livello) le decisioni degli algoritmi. Ad esempio è possibile identificare quali tipologie di informazioni hanno contribuito maggiormente alla formazione di un risultato o quali parti degli alberi decisionali sono stati maggiormente determinanti nella formazione del risultato. “È indispensabile sottolineare come innovare non significhi solo acquistare qualche tecnologia o strumento – sottolinea Alfonso Fuggetta, CEO e direttore scientifico di Cefriel. Innovare richiede una coerente evoluzione dell’impresa che coinvolga tutte le sue dimensioni: organizzazione, modelli di lavoro, competenze, ruoli, ma anche struttura dell’offerta e modello di presenza sul mercato. In generale, pensare che si innovi semplicemente con una spruzzata di tecnologia ‘di moda’ o, peggio, con una vuota declamazione di buzzword è uno spreco di tempo e un rischio gravissimo per il futuro dell’impresa. Per fare dell’impresa una impresa innovativa occorre approccio metodologico, non solo tecnologia”.

In conclusione, l’AI ha molteplici ambiti di applicazione nel mondo delle imprese ed è in grado di creare opportunità concrete sfruttando i big data, ma in alcuni casi anche con meno dati a disposizione. Riconoscere queste opportunità e tradurle in applicazione concrete è la sfida che i professionisti del settore devono conoscere e gestire opportunamente.



A cura della redazione

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